IL LIBRO CHE SOSTIENE L’ASSOCIAZIONE “MEMORIA”
IN QUANTO IL RICAVATO DELLE VENDITE VA TUTTO ALL’ASSOCIAZIONE
QUASI PER CASO
LA MIA VITA IN POLIZIA E GLI ANNI DI PIOMBO
Silvestro Picchi, ispettore della Digos a Firenze negli anni Settanta, sfuggì per caso al piombo del terrorista nero Mario Tuti.
Oggi ricorda in un volume la sua esperienza, dalla sparatoria di Querceta all’assalto di Prima Linea al carcere delle Murate.
Il 24 gennaio 1975 il nucleo antiterrorismo di Firenze è sul punto di arrestare Mario Tuti, leader del Fronte nazionale rivoluzionario, una delle più spietate organizzazioni eversive neofasciste.
All’improvviso arriva però il contrordine: ad ammanettare il terrorista saranno i colleghi del commissariato di Empoli, dove l’uomo risiede.
L’esito dell’operazione è nota: quando si rende conto che sono venuti per arrestarlo anziché semplicemente perquisirlo, Tuti uccide il brigadiere Leonardo Falco e l’appuntato Giovanni Ceravolo e ferisce gravemente l’appuntato Arturo Rocca.
Partono da questo episodio le memorie di Silvestro Picchi, ispettore della Digos fiorentina negli anni di piombo. Incaricato in un primo momento di andare a catturare Tuti, sul quale aveva indagato per mesi, solo per caso si salvò dalla fine dei suoi colleghi.
E “Quasi per caso” è il titolo scelto per il libello che ripercorre l’esperienza di quegli anni in polizia, in libreria dalla settimana prossima (Sarnus, pp. 80, € 10).
Un “diario” che nasce da un rimorso maturato proprio a seguito dell’esito drammatico di quella fallita operazione.
“Dentro di me iniziai a portare un peso tremendo dal quale nemmeno oggi, a tanti anni di distanza, riesco a liberarmi. So che non ho nessuna colpa – scrive Picchi – eppure sono più che convinto che se fossimo stati mandati noi ad arrestare Tuti, gli agenti empolesi sarebbero ancora vivi. Sono sicuro che non gli avremmo dato la possibilità di impugnare nessun fucile. Saremmo stati senz’altro più prevenuti nei suoi confronti”.
Una voce dall’altro lato della “barricata”, quella di Picchi, che per la sua storia guarda agli anni di piombo dalla prospettiva delle vittime anziché dei terroristi, come spesso accade.
Dall’ingresso in polizia, favorito dalla passione e abilità nella boxe, al duro addestramento, fino all’attività investigativa, sono numerosi i fatti degli anni di piombo in Toscana che trovano spazio nel racconto.
Su tutti, la sparatoria di Cerqueta (1975), quando due evasi uccisero nel lucchese uccidono tre poliziotti durante una perquisizione domiciliare, e il fallito assalto di Prima Linea al carcere delle Murate nel 1978, dove perse la vita l’agente Fausto Dionisi.
“Nei cosiddetti ‘anni di piombò – scrive nella prefazione l’ex procuratore della Direzione nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna – il nostro Paese fu attraversato dai fili rossi e neri del terrorismo che, intrecciandosi tra loro, lo strinsero nei nodi di una rete che per poco non arrivò a soffocare la democrazia. Pagine come queste ravvivano la nostra memoria”.
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Silvestro Picchi racconta quarant’anni di carriera contro il terrorismo toscano. Il terrorismo degli anni Settanta in Italia raccontati da uno dei tanti eroi che lo hanno combattuto. È questo “Quasi per caso. La mia vita in polizia e gli anni di piombo”, il diario edito da Sarnus attraverso il quale l’ex ispettore Silvestro Picchi racconta gli anni di piombo della Toscana. In quarant’anni si servizio presso la Digos di Firenze, l’autore ha vissuto le vicende più tragiche della sua terra, frutto di attentati di gruppi legati a movimenti di destra e di sinistra.
In 80 pagine sfoglia la storia del terrorismo toscano descrivendo quello che ha visto dal 1974 quando è entrato a far parte del Nucleo antiterrorismo della questura di Firenze dopo tre anni dall’ingresso in polizia che era stato favorito dalla sua passione e dall’abilità nella boxe. Tra gli episodi narrati si leggono la vicenda dell’arresto del terrorista nero Mario Tuti che culminò in una strage, la sparatoria della Querceta e l’assalto di Prima Linea al carcere delle Murate che portò alla morte dell’agente di polizia Fausto Dionisi. Ma è proprio l’episodio legato a Tuti ad aver spinto Picchi a scrivere il libro. Quel giorno, il 24 gennaio 1975, doveva essere lui con la sua squadra ad eseguire l’arresto del fondatore del Fronte nazionale rivoluzionario, conosciuto come una delle più spietate organizzazioni eversive neofasciste. Ma un contrordine dell’ultima ora aveva assegnato l’operazione agli agenti di Empoli. Al loro arrivo si consumò la tragedia con Tuti che fece fuoco il brigadiere Leonardo Falco e l’appuntato Giovanni Ceravolo e ferì gravemente l’altro appuntato Arturo Rocca. Una scelta inspiegabile che ha fatto in modo che ad affrontare il terrorista nero collezionista di armi di fuoco ci fossero degli agenti che non avevano seguito il caso e non sapevano chi avrebbero dovuto affrontare. «Dentro di me iniziai a portare un peso tremendo dal quale nemmeno oggi, a tanti anni di distanza, riesco a liberarmi – scrive Picchi – So che non ho nessuna colpa, eppure sono più che convinto che se fossimo stati mandati noi ad arrestare Tuti, gli agenti empolesi sarebbero ancora vivi. Sono sicuro che non gli avremmo dato la possibilità di impugnare nessun fucile. Saremmo stati senz’altro più prevenuti nei suoi confronti».
Il dolore per quell’episodio continua a tormentare nel cuore dell’ex ispettore che porta al centro del racconto le vittime del terrorismo degli anni di piombo e pubblica per la rima volta la testimonianza di Anna Falco, la figlia di una delle vittime che si chiede il perché di quella tragica decisione e del comportamento della autorità che in seguito hanno dissuaso la famiglia dal costituirsi parte civile. «In queste pagine non vi è spazio per la fantasia – scrive nella prefazione l’ex procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna – Ciò che si narra è una realtà vissuta. Nei cosiddetti “anni di piombo” il nostro Paese fu attraversato dai fili rossi e neri del terrorismo che, intrecciandosi tra loro, lo strinsero nei nodi di una rete che per poco non arrivò a soffocare la democrazia». È uno spaccato della storia d’Italia dove gli eroi sono le vittime, quelle vere, morte per contrastare il terrorismo, uccise dai personaggi che paradossalmente oggi appaiono in televisione e sulle copertine di riviste e giornali.
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Dalla Prefazione, di Piero Luigi Vigna
In queste pagine non vi è spazio per la fantasia: ciò che si narra è una realtà vissuta. Quella realtà che vide il nostro Paese attraversato dai fili rossi e neri dell’eversione che parvero, intrecciandosi tra loro, stringerlo nei nodi di una rete che sembrò soffocare la democrazia: i c.d. “anni di piombo”…
Picchi narra, all’inizio, delle sue origini e del suo ingresso nella Polizia di Stato, favorito dalla sua passione e capacità nella boxe e riferisce, con colorita efficacia, il percorso addestrativo al quale fu sottoposto. Subentrò, tuttavia, ben presto, l’impatto con alcuni dei più gravi episodi che si sono verificati in Toscana ed in taluno dei quali, per il puro intervento del caso, l’Ispettore non perse la vita. Ecco dunque i “resoconti”, tutti inquadrati nel contesto nel quale si verificarono, della strage di Empoli del 24 gennaio 1975, quando il terrorista nero Mario Tuti uccise il, Brigadiere Leonardo Falco e gli Appuntati Giovanni Ceravolo e Arturo Rocca e quella di Querceta del 22 ottobre 1975 ove persero la vita altri tre appartenenti alla Polizia di Stato ed ancora l’omicidio di Fausto Dionisi, avvenuto a Firenze il 20 gennaio 1978 ad opera di Prima Linea…
Le pagine scritte da Picchi ravvivano la nostra memoria e vorrei che anche i giovani le avessero nelle loro mani.
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In occasione della presentazione ufficiale in Palazzo Vecchio a Firenze la Presidente Mariella Magi Dionisi ha fatto pervenire all’Autore il seguente messaggio che è stato letto agli intervenuti:
Mi spiace immensamente tanto che una brutta influenza mi impedisca oggi di essere presente alla presentazione del caro amico e socio Silvestro Picchi. Ma non posso e non voglio far mancare un mio piccolo contributo, dettato dal cuore. Mi è impossibile non notare che il 27 gennaio è il giorno della MEMORIA. Dedicato sì alla grande tragedia degli ebrei, ma è un giorno in cui si chiede con forza di avere MEMORIA. La parola Memoria si scrive così sia in ebraico, in italiano, in greco e in latino: ci sarà un motivo…
L’Associazione che rappresento, e di cui l’autore, fa parte si chiama MEMORIA perché attraverso essa vogliamo ricordare, far ricordare e diffondere, i valori umani, civili e morali in difesa dei quali i nostri cari sono stati uccisi: libertà, legalità, democrazia. La Memoria sopravvive e si perpetua e attraverso essa si può e si deve far avere piena coscienza nei cittadini del profondo significato e della forte funzione sociale delle Forze dell’ Ordine e dei Magistrati. Non ci sono sentimenti di vendetta nella memoria. C’è la richiesta di verità e di giustizia, perché troppo spesso non abbiamo avuto né l’una né l’altra. Questi i nostri morti: 133 uomini servitori dello Stato tra Poliziotti, il maggior numero circa 76, Carabinieri, Agenti di Custodia, Finanzieri e Magistrati. Senza contare le migliaia di feriti. Dalle stragi terroristiche altoatesine all’agguato sul treno di Castiglion Fiorentino.
Terrorismo di destra e di sinistra.
Terrorismo rosso e terrorismo nero.
Uomini colpevoli di indossare una divisa o una toga e perciò definiti servitori dello Stato. Ma lo Stato siamo tutti noi, e troppo spesso lo dimentichiamo, demandando ad altri il compito di ricordarlo.
Il libro di Silvestro, con semplicità rappresenta questa esigenza e offre al futuro e ai nostri giovani la possibilità di avere Memoria.
Memoria di uomini pienamente coscienti , come lui, di rappresentare lo Stato.
Memoria di uomini che nella loro vita, così come lui ha fatto anche a scapito della presenza in famiglia, hanno voluto contribuire ad affermare Libertà, Democrazia, Legalità. Con la semplicità e la naturalezza che non può che venire dall’ intimo convincimento che Silvestro ha dimostrato durante tutta la sua carriera.
Non posso esimermi da notare che noi familiari delle vittime in divisa (e non conta se fossero toghe o altro colore) è quello che siamo stati troppo spesso e troppo spesso anche inutilmente costretti a cercare di far ricordare .
Per anni e anche adesso, a periodi ricorrenti, ci ritroviamo in mezzo ad una ridda di voci ed a tangibili iniziative che da anni sono rivolte solo a validare, forse anche politicamente, uomini che oltre che a ferire altri uomini, hanno fatto sì che tanti bambini restassero senza un padre a cui chiedere e dare affetto. O non lo hanno mai conosciuto.
Associazioni umanitarie, Cooperative, Parlamentari, Giornalisti, Religiosi, uomini e donne di cultura e dello spettacolo: tutti preoccupati di aiutare quelli che in base ad ideali e convinzioni hanno deciso che si poteva impunemente anche uccidere. Era giusto: i morti non possono più avere voce.
Ma le Forze dell’Ordine ed i Magistrati hanno voce: la voce di quanti vogliono vivere in un mondo realmente giusto, un mondo fatto di legalità e di giustizia.
Il libro dell’Ispettore Picchi contribuisce a dare loro voce, contribuisce a questa memoria, memoria vissuta e partecipata da lui in prima persona.
Memoria anche e soprattutto rappresentata attraverso il cuore e la dedizione di uno che ne ha fatto un motivo di vita.
Attraverso la sua vita e il ricordo della sua parte intima e familiare credo faccia capire che le Forze dell’ Ordine e i loro appartenenti sono principalmente uomini, uomini cha hanno deciso di essere al servizio della libertà e della sicurezza di atri uomini, cittadini tra gli altri cittadini.
Una nota del tutto personale: mia figlia non ha ricordi di suo padre, non gliene è stato dato il tempo, ma ha sempre detto che ha avuto la fortuna di averli attraverso il ricordo dei colleghi del suo papà: ecco, in questo libro è stato fatto un regalo a mia figlia: un ulteriore ricordo della personalità di suo padre.
Grazie Ispettore Picchi e scusa ancora se l’ influenza mi ha bloccato, ma sono con te e … Grazie!!Davvero, di cuore!!!
Mariella Magi Dionisi Presidente Associazione Memoria
Trasmissione RTV38 sul libro dell’Ispettore Picchi