«Ho sempre concepito che la nostra attività ha un senso se possiamo essere utili al nostro paese, se possiamo servirlo. Le persone hanno l’esigenza di avere garantita la sicurezza e noi siamo qui per questo. Tra le 370 vittime del terrorismo 38 erano poliziotti, siamo l’amministrazione che ha pagato il prezzo più alto. I familiari sono i testimoni imperituri del sacrificio dei loro cari da cui noi dovremmo prendere esempio». Ha espresso questi concetti, insieme ad altri altrettanto importanti, il Capo della Polizia Franco Gabrielli in una breve video intervista a Il Messaggero a margine della celebrazione della “Giornata in Memoria delle vittime del terrorismo”. È la prima volta che in Questura di Roma si celebra questo evento subito dopo la consueta cerimonia al Quirinale.
In via San Vitale, una sala gremita di persone, istituzioni e soprattutto i familiari delle vittime dei sanguinari attentati che hanno segnato i cosiddetti “anni di piombo”.
L’appuntamento è stato organizzato dall’Associazione degli insigniti al Merito della Repubblica (Ancri) in collaborazione con la Polizia di Stato e le Associazioni “Memoria” e “Europea Vittime del Terrorismo”. L’obiettivo si può dire raggiunto: manifestare la vicinanza ai familiari delle vittime e rendere omaggio a chi ha rischiato la vita per sconfiggere il terrorismo.
Si è ribadito un dato di fatto e cioè che tra tutte le istituzioni impegnate nella lotta al terrorismo, la Questura di Roma è stata quella che in assoluto ha pagato di più anche in termini di vite umane. «Ricordare quelle vittime in Questura – ha detto il Questore di Roma Guido Marino – significa alimentare il senso dello Stato nel quale hanno creduto e per il quale si sono battute». Tantissimi i parenti delle vittime che hanno applaudito e condiviso questo momento di alto valore istituzionale nella sala Augusto Cocola di via di San Vitale.
Tra questi anche i familiari di Claudio Graziosi, Mariano Romiti, Ciro Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Rolando Lanari, Pierino Ollanu, Ciriaco Di Roma, Michele Granato, Luigi Carbone, Mario Amato, Paolo Galvanigi, Lorenzo Cutugno, Emilio Perondi, Rosario Berardi, Giuseppe Ciotta, Lucio Terminiello. La lista è lunga ma in Questura li hanno ricordati tutti, uno ad uno.
Toccanti e interessanti allo stesso tempo gli interventi del presidente dell’Ancri Tommaso Bove e del presidente dell’Associazione Memoria, Maiella Magi Dionisi. Interessanti gli interventi di Andrea Nemiz, storico fotogiornalista dell’AgiI e oggi direttore della rivista Dossier Sicurezza e Paolo Gambescia già direttore de L’Unità, Il Mattino e Il Messaggero. Hanno ripercorso quegli anni con la maturità di cronisti con la maiuscola facendo riferimento anche al tatto che hanno avuto all’epoca, loro e i colleghi, nel non fotografare all’epoca primi piani dei familiari delle vittime per mantenere decoro e rispetto che oggi, purtroppo, in alcuni casi viene meno. Presente in sala lo storico “The king of paparazzi” Rino Barillari che ha una memoria storica e fotografica di quegli anni e che ha immortalato anche questa occasione.
A margine dell’evento abbiamo rivolto qualche domanda al Prefetto Francesco Tagliente, già Questore di Roma, che durante gli anni di piombo e della strategia della tensione era in servizio nella Capitale e che in questa occasione è stato riconosciuto da tutti come l’ideatore dell’iniziativa in Questura.
Prefetto Tagliente, l’Associazione dei Benemeriti della Repubblica per cui lei cura i rapporti istituzionali, quest’anno ha deciso di celebrare questa ricorrenza insieme con le associazioni vittime del terrorismo e con la Polizia di Stato. E la novità è che oggi il Capo della Polizia Franco Gabrieli è stato nominato socio onorario dell’Ancri. Come nasce questa iniziativa?
«Nasce dalla avvertita esigenza di ricordare le vittime del terrorismo, manifestare la vicinanza ai loro familiari e cogliere l’occasione per parlare anche di quelle persone che, in quegli anni di piombo e di strategia della tensione, hanno rischiato la vita per sconfiggere il terrorismo. Milioni di cittadini, appartenenti alle varie classi sociali, sono sopravvissute al terrorismo e lottato contro il tentativo di eversione dell’ordine democratico. Penso che quei cittadini si sono sentiti indignati e offesi nel sentire dire alla ex brigatista Balzerani che “ormai fare la vittima è un mestiere”. Penso che si siano sentiti umiliati nel vedere ex brigatisti seduti in cattedra o in uno studio televisivo raccontare la loro verità a chi quegli anni non li ha vissuti. Abbiamo il dovere etico di non lasciare ai brigatisti il monopolio della comunicazione su quei terribili anni della nostra Repubblica. Quei milioni di cittadini vogliono ricordare che gli autori di quegli attentati omicidiari sono stati e resteranno terroristi e noi li ricordiamo come assassini».
Quale è la verità di chi quegli anni li ha vissuti combattendo il terrorismo? Come ricorda quel periodo? Che clima si respirava?
«Non era facile fare servizio in quegli anni cruciali. Era il periodo del terrorismo e della criminalità agguerrita, vigliacca e sanguinaria. Nelle manifestazioni di piazza molti manifestanti si presentavano mascherati e spesso armati di spranghe, mazze, chiavi inglesi talvolta di molotov e addirittura di pistole. Erano gli anni dei sequestri di persona, delle rapine sanguinarie ai furgoni portavalori, alle banche, agli uffici postali e alle gioiellerie. Nel corso degli interventi la tensione era sempre altissima e l’adrenalina andava a mille. Le volanti erano frequentemente sollecitate e impegnate in spericolati inseguimenti. Ci lanciavano contro anche bottiglie incendiarie, bombe a mano e granate».
Erano gli anni della tensione. Aumentarono gli attentati con agguati, gambizzazioni e uccisioni. Che rapporto avete avuto con la paura?
«Nella società si generò un clima di pericolo, di insicurezza e di paura, anche perché venivano colpiti pure singoli cittadini rappresentanti della società civile, dirigenti di azienda, giornalisti, uomini politici, della magistratura, del mondo carcerario, delle forze dell’ordine e persone degli altri apparati dello Stato. Molti rappresentanti delle forze di polizia, uscendo da casa, non sapevano se sarebbero tornati. La tensione e la paura, erano entrati a fare parte della quotidianità anche delle famiglie dei poliziotti. Ci sentivamo bersagli mobili di criminali sanguinari e vigliacchi che sparavano anche alle spalle di persone indifese».
Prefetto, l’Italia si fa vanto di avere combattuto il terrorismo rosso e nero che l’ha insanguinata negli Anni ’70 e ’80, con gli strumenti della democrazia, senza rinunciare ai principi di libertà e democrazia che ne fondano la legittimità costituzionale. Cosa ci dice al riguardo?
Molti a ragione dichiarano con orgoglio che l’Italia ha combattuto il terrorismo con gli strumenti della democrazia. Io aggiungo l’Italia ha combattuto il terrorismo con quegli strumenti giuridici e con gli uomini e le donne che hanno utilizzato quegli strumenti giuridici. Il terrorismo è stato battuto grazio a tutti quegli uomini che hanno combattuto con quegli strumenti giuridici pagando un presso molto alto anche in termini di vite umane. Oggi noi vogliamo dire grazie a tutte quelle vittime, a tutti i loro familiari che a distanza di oltre 40 anni piangono i loro cari e ai tantissimi cittadini, non solo degli apparati dello Stato, che hanno combattuto e sopravvissuto al terrorismo.